La perdita di biodiversità è una minaccia anche per noi. Le monocolture in agricoltura rendono le colture vulnerabili ai parassiti. La mancanza di predatori porta a epidemie di roditori e malattie. Anche la salute mentale umana soffre di “deficit di natura”, una sindrome descritta da Richard Louv.
Ma c’è speranza. Il ripristino dell’ecosistema sta funzionando: i lupi sono tornati a Yellowstone e hanno trasformato il paesaggio in meglio; le barriere coralline si stanno riprendendo grazie alle strutture artificiali; le popolazioni di balene stanno crescendo dopo il divieto di caccia alle balene. La natura è incredibilmente resiliente, se le si dà una possibilità.
Tutti possono contribuire. Ridurre i consumi (meno carne = meno deforestazione), sostenere marchi sostenibili, evitare di acquistare prodotti derivati dalla fauna selvatica (avorio, carapace di tartaruga) e creare giardini “amici della fauna selvatica” con piante autoctone.
Leggi e aree protette sono importanti, ma non sufficienti. Attualmente, circa il 17% del territorio e l’8% degli oceani sono protetti. L’obiettivo delle Nazioni Unite è il 30% entro il 2030 (“30×30”). Ma la conservazione deve essere efficace: con la partecipazione delle comunità locali, i finanziamenti e la lotta alla corruzione.
La biodiversità non è “la natura là fuori”. È l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo, il cibo sulle nostre tavole. Preservandola, preserviamo noi stessi. Come disse il biologo Edward Wilson, “L’umanità ha bisogno della biodiversità più di quanto la biodiversità abbia bisogno dell’umanità”.
Biodiversità: la rete invisibile della vita sulla Terra
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